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Metastasio.

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6. B. 1. S. 257. B. V. S. 37.- Von diesem für die musikalische Poesie höchst musterhaften und klassischen Dichter gehören zuvdrderst seine acht vortrefflichen Oratos rien hieher, unter welchen die hier mitgetheilte Passion, wegen ihrer so würdigen, einfachen und rührenden, Behandlung, eins der schönsten ist. Sie war die erste Arbeit des Dichters im Dienste Kaifers Rarls VI, wurde von ihm im J. 1730 zu Rom verfertigt, und zu Wien, nach Caldara's Komposition aufgeführt. Wie bekannt, ist sie in der Folge mehrmals, am glücklichsten von Jommelli und unserm Reis chardt, in Musik gesezt. Ausserdem stehen siebzehn Rantaten im siebenten Bande der Turiner Ausgabe seiner Werke. Auch in dem, erst nach seinem Tode herausgekommenen eilften Bande derselben befinden sich mehrere, hieher gehörige Stücke, unter andern zwölf Kleinere Kantaten, die schon 1735, ohne seiñen Namen, zu London, mit der Musik von Porpora, zuerst erschienen, die der Dichter aber in die von ihm selbst besorgte Sammlung seiner Poesieën nicht mit aufnahm. Das musikalische Gedicht, L'Ape, welches ich hier mittheile, schrieb er in Wien, 1760 für den spanischen Hof. Die Kantate, L'Armonica, wurde von ihm im Jahr 1769 auf Befehl des kaiserlichen Hofes verfertigt, und zu Schönbrunn, nach Hassens Musik, von der Sängerinn, Cåscilia Davis, gesungen, die von ihrer Schwester, einer vors trefflichen Spielerin auf der damals noch neuen, und, wie bekannt, von Dr. Franklin erfundenen, Harmonika beglei. tet wurde. Gelegenheit dazu gab die Vermählung des Infanten Herzogs von Parma, Don Ferdinand von Bourbon, mit der Erzherzogin Maria Amalia von Oestreich. – Das kleine Singestück, L'Aurora, wurde schon im J. 1759 ver: fertigt, und von Wagenfeil für die Erzherzogin Christine von Oeftreich, nachherigen Herzogin von Sachsen-Teschen, in Musik gefeßt.

1.

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I. LA

Metastasio.

I.

LA PASSIONE

DI GESÙ CRISTO.

Interlocutori.

PIETRO.

MADDALENA.

GIOVANNI, GIUSEPPE D'ARIMATIA.

CORO de' Seguaci di Gefù.

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Dove fon? Dove corro?

Chi regge i paffi miei? Dopo il mio fallo
Non ritrovo più pace,
Fuggo gli fguardi altrui, vorrei celarmi
Fino a me fteffo. In mille affetti ondeggia
La confufa alma mia. Sento i rimorfi;
Afcolto la pietade; a' miei defiri
Sprone è la fpeme, e la dubbiezza inciampo;
Di tema agghiaccio, e di vergogna avvampo.
Ogni augelio, che ascolto,

Accufator dell' incoftanza mia

L'augel nunzio del dì parmi, che fia.
Ingratiffimo Pietro!

Chi fa, fe vive il tuo Signore? A cafo
Gli ordini fuoi non fovvertì natura.
Perchè langue, e fi ofcura

Fra le tenebre il Sole? A chè la terra
Infida ai paffi altrui trema, e vien meno,
E le rupi infenfate aprono il feno?
Ah che gelar mi fento!

Nulla fo, bramo affai, tutto pavento.

Giacchè

Giacchè mi tremi in feno,
Efci dagli occhi almeno
Tutto disciolto in lagrime,
Debole, ingrato cor.
Piangi, ma piangi tanto,

Che faccia fede il pianto
Del vero tuo dolor.
Ma qual dolente ftuolo
S'appreffa a me? Si chieda

Del mio Signor novella. Oh Dio! Che in

CORO de' Seguaci di Gefü.

Quanto costa il tuo delitto,
Sconfigliata umanità!

vece

Di ritrovar conforto,

Temo afcoltar, chi mi risponda, è morto,

Parte. All'idea di quelle pene,

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Che il tuo Dio per te foftiene,
Tutto geme il Mondo afflitto,
Sola tu non hai pietà.

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PIETRO, e detti.

Pietro. Maddalena, Giovanni,

Giuseppe, amici, il mio Gefù respira?

O pur fra i fuoi tiranni...
In quel pallore, in quelle,
Che dalle ftanche ciglia
Tarde lagrime efprime il lungo affanno,
Veggo tutto il mio danno,
Leggo l'orror di questo di tremendo.
Ah tacete, tacete; intendo, intendo.
Madd. Vorrei dirti il mio dolore

C

Ma dal labbro i mefti accenti
Mi ritornano ful core

Più dolenti a rifonar.

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Ah voi piangete!

Metastasio.

metastasio

Ed appena al feno oppresso
E' permetfo
L'interrotto fofpirar

Oh più di noi felice;
Pietro, che non mirasti

L'adorato maeftro in mezzo agli empj,
Tratto al Prefide ingiufto; ignudo a i colpi
De' flagelli inumani

Vivo fangue grondar; trafitto il capo
Da fpinofo diadema, avvolto il feno
Di porpora ingiuriofa, efpofto in faccia
All' ingrata Sionne, udir le ftrida, I
Soffrir la vifta, e tollerar lo fcorno
Del popol reo, che gli fremea d'intorno.
Giuf. Chi può ridirti, oh Dio!

Qual divenne il mio cor, quando inviato
Sul Calvario a morire io lo mirai 0
Gemer fotto l'incarco

Del grave tronco, e per lo fparfo fangue,
Quafi tremula canna,

Vacillare, e cader? Corfi, gridai;
Ma da' fieri cuftodi

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Refpinto indietro, al mio Signor cadute
Appreftar non potei picciolo aiuto.
Torbido mar, che freme,

Alle querele, a i voti
Del paffeggier, che teme,
Sordo così non è;
Fiera così fpietata

Non han le felve Ircane,
Gerufalemme ingrata,
Che raffomigli a te.
Pietro, Oh barbari! Oh crudeli!
Madd. Ah Pietro, è poco,

A paragon del resto,
Quanto afcoltafti.

Giov. Oh fe veduto aveffi,

Come vid' io, ful dolorofo monte

Del mio Signor lo fcempio! Altri gli svelle
Le congiunte alle piaghe

Tenaci fpoglie; altri lo preme, e spinge,

E ful

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Non varmaste di fulmini, o sfere
In difefa del voftro Fattore can'
Ah v' intendo, La mente infinita

Giov. Mifera madre! out
Madd. Fra i perverfi miniftri.

La grand opra, non volle impedita,
Che dell' uomo compenfa l'error. T
Pietro. E la madre frattanto

CHO

In mezzo all' empie fquadre, 2
Giovanni, che facea?
f 11 40

はざ

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Pietro. Come inventar potea

Pena maggior la crudeltade Ebrea? Giuf. Sì, l'inventò. Del moribondo figlio Sotto i languidi fguardi

Penetrar non potea. Ma quando vide
Già follevato in crocer

L'unico figlio, e di fue membra il pelor c
Su le trafitte mani stol, a .370..'Ɑ
Tutto aggravarfi, impaziente accorre
Di foftenerlo in atto, il tronco abbraccia,
Piange, lo bacia; e fra i dolenti baci
Scorre confufo intanto

? 6377 vi

Del figlio il fangue, e della madre il pianto,

Potea quel pianto,
Dovea quel fangue
Nel cor più barbaro
Deftar pietà.

Pure a que' perfidi
Maria, che langue,
E nuovo ftimolo
Di crudeltà.

Metastasio

Dal

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